
Se è vero che il coaching è cambiamento, ed è facile che il cambiamento generi resistenze, allora qual'è il modo migliore per gestire queste dinamiche in modo che il coach possa garantire l'efficacia del percorso?
Parto da quello che si osserva nel coachee quando c'è una resistenza al cambiamento, ovvero quando ride, oppure cerca delle scusanti esterne al cambiamento o, semplicemente, cambia discorso.
Quando questo tipo di resistenze emerge, credo sia funzionale riconoscere l’intenzione positiva che c’è dietro, per trovare comportamenti sostitutivi che preservino gli aspetti importanti per il coachee, piuttosto che "soffocare" questi mecacnismi di difesa.
Un altro ostacolo possono essere le assunzioni implicite rispetto al contesto nel quale opera il coachee. È quando lo si ascolta fare affermazioni del tipo: “Non si può”, “Non funzionerà”, “Non me lo consentiranno mai”, “Non è il momento”, “Non è così che le cose si fanno qui”, “Non ci sono risorse sufficienti”, “Se nessuno l’ha mai fatto ci sarà un motivo”, “Non c’è via di uscita”. Qui chiaramente il coach può stimolare il pensiero divergente.
Quando queste assunzioni implicite riguardano non il contesto, ma il coachee stesso, allora parliamo di convinzioni limitanti, come per esempio le doverizzazioni: “Devo assolutamente…”, “Gli altri dovrebbero assolutamente…”, “La vita dovrebbe assolutamente…”.
Altri esempi sono l’insopportazione: “Non tollero che…”
La catastrofizzazione: “Sarebbe terribile se…”
L’indispensabilità: “Non si può fare a meno di…”
In questi casi, il coach può facilitare il coachee a sviluppare una maggiore consapevolezza di come questa convinzione sia disfunzionale alla sua efficacia e al suo benessere.
E, a volte, l’ostacolo non sono le assunzioni implicite, ma dei blocchi deliberati verso il contesto organizzativo:
“Non mi fido e non voglio aprirmi con loro.”
“Che senso ha se sono solo io a fare domande in riunione mentre si scannano tutti l’uno contro l’altro?”
In questi casi si può far leva sul ruolo attivo del coachee come agente di cambiamento di se stesso e del contesto nel quale opera, soprattutto se ricopre una posizione manageriale che può impattare significativamente la cultura organizzativa.
Chiaramente di ostacoli al coaching ce ne sono molti altri, e sta al coach il compito di accompagnare il coachee a svincolarsi tra questi ostacoli.
Per questo l'obiettivo di questo post è chiedere a tutti i coach della nostra community quali sono gli ostacoli che solitamente incontrate nei loro percorsi, e quali sono le azioni che in genere mettete in campo per gestire questi ostacoli al meglio.
Grazie Luigi per questa overview!
Altri ostacoli che il coachee può trovare nel corso di un percorso di coaching possono essere:
- "Non ne capisco il senso!", quando il coachee non riesce a identificare lo scopo del percorso: in questo caso può essere utile spostare la conversazione su elementi valoriali del coachee per poi passare alla definizione di obiettivi concreti.
- "Non ci credo!", quando il coachee esprime dubbi in merito all’efficacia del percorso: in questo caso il coach può responsabilizzare il coachee sui risultati del percorso con domande del tipo “Cosa puoi fare per iniziare a crederci?”
In aggiunta a quanto scritto nel post, un aspetto che riscontro quando avvio un percorso con chi cerca un coach a Bologna, la mia area di intervento principale, è che uno dei fattori prevalenti a determinare il successo del coaching è la motivazione e la misura in cui questa motivazione è legata a dei successi professionali.