Normalmente si crede che coaching e feedback insistano su due piani diversi, in quanto:
il feedback ha come focus la performance passata, ha una natura valutativa, è utile per “raddrizzare” quello che non va nella persona
il coaching, invece, cerca di migliorare i comportamenti futuri, è basato sull’osservazione e non sulla valutazione e cerca di sprigionare il potenziale che già risiede dentro ognuno di noi.
Eppure, il processo più efficace per generare un cambiamento avviene quando è il collaboratore a darsi un feedback (seguendo un approccio tipico del coaching) prima che il manager esprima il proprio punto di vista.

Il processo che suggerisco di seguire al mio coachee prevede 3 fasi che riporto sotto, ma ben vengano contributi da parte della nostra community di business coach per arricchire questo schema:
auto-valutazione: chiedere al collaboratore come vede la sua performance passata, cosa è andato bene, cosa tornando indietro avrebbe fatto diversamente, cosa ha trovato stimolante, e altre domande del genere
permission protocol: chiedergli se vuole sentirsi dire come il manager vede la situazione; a questo punto è importante che il manager descriva la performance del lavoratore prima in termini fenomenologici (basati sull’osservazione e non sulla valutazione: “cosa ho osservato rispetto a quanto è successo”) e in termini performance (“come ti ho visto agire”, non in termini personali o di risultato), e solo successivamente si può esprimere una valutazione in base alle aspettative che aveva il manager (che in quest’ultima fase, evidentemente, esce dal paradigma del coaching, mai valutativo)
so what: ritornare sul punto di vista del collaboratore chiedendogli in modo aperto cosa ha imparato e come intende in futuro raggiungere performance di livello ancora superiore; in questa fase, seguire alcuni principi del goal setting può aumentare la probabilità di cambiamento effettivo (vedasi modello EASY).
Questo modo di approcciarsi al feedback può essere utile sia in situazioni formali di performance reviews, che in situazioni informali “da corridoio”. In entrambe le circostanze al centro del processo c’è il collaboratore, che troverà maggiore energia per attuare il cambiamento che ha contribuito a definire.
Ringrazio chiunque voglia contribuire a queste riflessioni sulla connessione tra feedback e coaching!
Grazie Luigi per questo spunto su come fornire il feedback da utilizzare sia nel day-by-day sia all'interno di colloqui di performance review. Ritengo inoltre che il manager debba dare un peso diverso a questi 3 passaggi nel corso del tempo.
Nel senso che se nei primi feedback, il passaggio 2 dovrà di certo essere molto rilevante, con il passare del tempo e il relativo miglioramento nel dare e ricevere feedback, il focus debba spostarsi nella fase 1, dove la persona in autonomia dovrà sempre più sviluppare capacità di auto-analisi della propria perfomance. Il coach/manager dovrà pertanto accompagnare questo percorso evolutivo sempre nell'ottica di costruire consapevolezza e responsabilità nelle persone!